mercoledì 12 gennaio 2011

Assicuratori - la sorpresa sommersa

Una mattina di settembre del ’94 Giorgio aveva un appuntamento di lavoro. Molto presto. Verso le 7.30 doveva essere nello studio dell’avvocato per trattare una consistente copertura assicurativa. Come tutte le mattine si era alzato verso le 5. Non riusciva mai a dormire più a lungo ormai da anni. Sempre quel senso di angoscia che lo coglieva sul fare del giorno e non lo mollava più sino a che non usciva di casa. Al solito trascorse circa un’ora girando per casa, tra uno sguardo alle notizie del TG5, la doccia, un paio di caffè e l’eterna sigaretta fumata in salotto subito dopo. Si vestì e circa con 45 minuti di anticipo uscì di casa. Diluviava. Piovevano mele invece che gocce quella mattina, come spesso accade a Genova quando l’estate lascia spazio all’arrivo dell’autunno. Avvolto nell’impermeabile chiaro, con una mano a tenere l’ombrello e l’altra impegnata dalla valigetta dei documenti, si diresse verso la macchina posteggiata poco distante. Il cielo scuro non prometteva nulla di buono, anzi, sembrava che il tempo andasse ulteriormente a peggiorare. Salì in macchina e si diresse verso il luogo dell’appuntamento. Ovviamente a quell’ora e con quella pioggia la città era ancora addormentata e di conseguenza arrivò con anticipo trovando anche il parcheggio al primo tentativo. “Che culo!” esclamò dentro di sé e sorridendo spense il motore mettendosi comodo per l’attesa. La pioggia intensificava e il vago sorriso di prima lentamente svaniva al pensiero di dover uscire dall’auto per attraversare la strada. All’ora prevista si accorse che non poteva in alcun modo uscire dalla vettura. L’acqua era all’altezza della portiera e se l’avesse aperta l’avrebbe allagata di sicuro. Una riga di imprecazioni da competizione a battesimo di tutti i santi ed altre immagini sacre uscirono dalla sua bocca. E come di consueto si soffermò (per riguardo ??) più a lungo nei confronti della Beata Vergine e del Padre Celeste. Non poteva scendere. E il suo appuntamento stava andando a puttane sotto i suoi occhi sotto forma di acqua piovana. Per nulla intimorito dagli eventi naturali (si era alzato anche un forte vento a completare il tutto) si tolse le scarpe, le calze e rimboccò il fondo dei pantaloni fino al ginocchio. Mise alla meglio le scarpe nella valigetta, intascò le calze e armatosi di ombrello provò ad aprire la portiera. L’acqua sfiorava l’apertura. “Bene” pensò “sta a vedere che ce la faccio lo stesso” e scese dall’auto riparandosi come poteva e cercando di non far cadere nulla in quel mare di melma. Nel momento in cui appoggiò il secondo piede per terra, chiudendo dietro di sé la portiera, avvertì una fastidiosa consistenza limacciosa sotto la pianta dello stesso. “Dannata fanghiglia del cazzo” mormorò inviperito. E con passi lenti si avvicinò al gradino del marciapiede che rimaneva al di sopra del livello dell’acqua. Una volta salito si sincerò delle sue condizioni e guardando il piede destro vide che la fanghiglia, contro cui aveva imprecato, altro non era che una merda gigante che fuoriusciva bellamente attraverso gli spazi delle cinque dita a formare riccioli di barocca memoria. A quella vista una interminabile sequenza di contumelie all’indirizzo del cielo fuoriuscì dalle sue labbra, stavolta condite anche da apprezzamenti quanto meno indecorosi sul lavoro svolto dai soggetti sopra elencati. Dopo qualche minuto di monologo, proprio mentre la pioggia cominciava beffardamente a scemare, cominciò la ricerca di qualcosa per ripulire il piede oltraggiato. Non trovando nulla approfittò dell’acqua torbida e usando qualche modulo assicurativo si rese presentabile. Arrivò scalzo al portone del suo cliente e lo attese dopo essersi rivestito sui gradini. Quando entrò nello studio l’avvocato lo accolse con un “Già qui ? Abbiamo poco tempo perché devo scappare in tribunale. Forse è meglio se torna in un altro momento” Lui sorrise amaro.

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