giovedì 13 gennaio 2011

Amico fragile

Luca urla il nome dall’altro lato della strada.

Da troppo tempo non si incontrano. Vecchi compagni di scuola. Cresciuti insieme negli anni del liceo.

Luca allora era un ragazzo come tanti, un buono, un ingenuo, un ragazzone pieno di energia repressa, con una gran voglia di ridere e di vivere.

Le auto passano, il rumore copre le sue urla all’indirizzo dell’amico. Si sbraccia, cammina e saltella cercando l’attenzione dall’altra parte.

L’uomo si gira, si volta, alza la testa, avverte qualcosa nella confusione dell’ora di punta.

Il sole picchia forte sulla piazza di ciottolato.

Luca era innocente, come tutti noi a quell’età! Nessuno gli aveva spiegato la differenza tra una sigaretta, una canna e una siringa piantata nel braccio. La prima dose l’aveva comperata davanti al bar, quello in fondo alla discesa, a metà della collina che scende al mare verso Boccadasse.

E lì lo si trovava nei pomeriggi di inizio estate, quando il sudore inizia a scorrere lungo le schiene ad impregnare le t-shirts.

Gli occhi semichiusi a tratti, oscillante tra attimi di iperattiva presenza e abissi di torpore improvvisi nell’arco di una stessa frase smozzicata.

Luca era insicuro, quando studiavamo insieme, a casa sua, la madre ci faceva ripetere all’infinito le lezioni. Sembrava provasse uno strano piacere ad infierire sui tentennamenti del figlio. Lo mandava volutamente in confusione, facendolo cadere in trabocchetti degni del più turpe e sleale professore.

Allora pensavo che volesse, in qualche modo, formarlo dimostrandogli che doveva mostrarsi più sicuro di sé stesso. Oggi non ne sono più così convinto. Troppo era l’accanimento, troppo l’astio che metteva negli insulti che gli indirizzava. Per di più, cosa peggiore di tutti, quando passava ad interrogare me dava delle occhiate schifate verso Luca ogni volta che la mia risposta risultava puntuale e decisa. “Senti come si studia, idiota….imbecille che non sei altro”.

La mia intima soddisfazione nel rispondere veniva soffocata da una sorta di vergogna ed imbarazzo, perché con le mie brillanti risposte affondavo lui sempre più nella disperazione.

Luca non me ne voleva per questo. Solo non riusciva a capire. E per questo stava male.

L’uomo dall’altra parte della via si era girato e lo aveva visto. Non poteva credere che quel pazzo che si sbracciava saltando fosse Luca. “Stefanoooooo….ehiiiiiiiii…..” Abbozzò un sorriso imbarazzato alzando di poco la mano tentando un saluto cordiale che non gli riuscì.

L’ultima notizia di Luca dice che abbia perso il lume della ragione. Che sia stato estromesso dall’azienda fondata dal padre. O perlomeno che non abbia alcuna voce in capitolo per ciò che riguarda l’aspetto decisionale.

Una moglie, un figlio e un cervello bruciato dalla coca e dagli acidi. Nessuno è riuscito a disintossicarlo davvero.

A quarantasei anni, Luca, è un uomo che si è cancellato la vita.

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