lunedì 31 gennaio 2011

Storia - (Prologo)

La luce dell’alba spandeva i primi riflessi sul mare davanti alla scogliera iniziando ad incendiare i contorni delle rare nuvole nel cielo mentre onde leggere si allungavano verso terra silenziose, muovendo la superficie d’acqua in un sospiro di quiete avvolgente e la brezza appena percettibile del primo mattino soffiava sulle siepi del lungomare deserto.

Il filo di fumo scivolava pigro sul dorso della sua mano, avvolgendosi alla manica dello smoking prima di svanire progressivamente nell’aria frizzante impregnata di salsedine.

L'uomo guardava l’apparire della luce là in fondo, all’orizzonte, dove il mare incontra il cielo, in totale rilassamento ascoltando il proprio respiro. Era stata una bella nottata al night in mezzo ai soliti amici.

Le cinque del mattino si facevano spesso ma non sempre con lo stesso piacere e leggerezza. Quella era stata una nottata speciale dopotutto, iniziata dopo lunghe ore di lavoro a bordo della Mar del Plata che poteva finalmente, tra poche ore, prendere il largo per le ultime prove di motore in mare.

Aveva terminato alle undici e mezzo di sera di controllare il lavoro dei propri operai all’interno di quel dannato cilindro che non voleva saperne di andare a posto.

La tuta bianca che indossava non aveva più nulla del candore originale. Il grasso minerale ne aveva quasi coperto ogni parte. Ne aveva persino dentro il taschino esterno all’altezza del cuore. Insieme alle sigarette. Già, quell’eterno pacchetto di Marlboro che lo accompagnava in ogni attimo della giornata. E spesso della notte.

Alla fine i lavori di messa a punto del cilindro erano terminati tra la soddisfazione degli ormai esausti meccanici e dei macchinisti argentini che seguivano da vicino le operazioni di riparazione.

Quei fotogrammi gli davano un segreto senso di soddisfazione mentre aspirava una boccata di fumo acre da quell’ennesima sigaretta.

Era letteralemente volato a casa a farsi una doccia e cambiarsi d’abito prima di rimontare sulla sua Flaminia e partire in direzione del Moulin Rouge dove, al solito, gli era riservato il tavolo d’angolo nella sala centrale, proprio appena dietro la pesante tenda di velluto che la divideva dal vano di entrata.

Prima di uscire aveva salutato a malapena la moglie che aveva apparecchiato per lui sul tavolo di cucina.

Si era rasato con cura davanti allo specchio rotondo. Le profonde rughe del viso continuavano incrociandosi in curiosi rombi lungo il collo e rendevano più complicata l’operazione. Le aveva stese con le dita della mano mentre il rasoio faceva sparire la schiuma dal viso lasciando solo i contorni di due sottilissimi baffi che terminavano, dritti, alle estremità del labbro superiore. Aveva poi fermato il sangue dei piccoli tagli con la pietra (pomice?) mentre l’acqua del soffione già scorreva dietro la tenda di plastica. Finita la doccia bollente si era infilato nello smoking con tale piacere da dimenticare in un attimo la stanchezza e l’intorpidimento delle gambe, dopo sedici ore di lavoro in fondo a quel motore oleoso della Mar del Plata.

Lei lo aveva aspettato alla finestra per tutta la sera, tenendo pronto sui fornelli il pentolino della minestra di verdura da riscaldare. Aveva riconosciuto i fanali dell’auto quando erano apparsi in fondo alla via e il sordo rombo del motore imballato le aveva strappato una smorfia soddisfatta. Stava arrivando finalmente. Daria tutte le sere lo attendeva senza sapere a che ora, e soprattutto se, sarebbe tornato a casa dal lavoro. Spesso si addormentava sul divano della sala in quella estenuante attesa senza certezze.

Dalla rapidità del suo passo, dall’auto al portone, aveva capito che non si sarebbe fermato nemmeno a buttare giù un boccone. Sarebbe uscito nuovamente per tornare la mattina seguente ad infilarsi la tuta di lavoro e ributtarsi in cantiere. Il tutto senza quasi una parola scambiata.

Teneva il mozzicone tra le dita rigirandolo assorto. Quella mattina di primavera gli sgombrava la mente dai troppi whiskies del Moulin Rouge. Dopo un attimo di indecisione aveva buttato il filtro sullo scoglio sotto di lui facendo poi scorrere le mani indietro sui capelli ondulati fermati dalla brillantina. Il Piccolo Bar avrebbe aperto solo dopo un’ora e aveva voglia di un caffè prima di avviarsi verso casa. Guardandosi le punte delle scarpe cominciava a frugare nella tasca interna della giacca alla ricerca delle chiavi dell’auto. In silenzio si era girato verso sinistra a guardare la linea del lungomare che proseguiva in curve morbide verso il borgo di Boccadasse. I lampioni si stavano spegnendo. Slacciò la giacca e disfece il papillon lasciandone cadere le estremità ai lati del colletto lungo il petto. Aprì il primo bottone della camicia e fece un mezzo giro su se stesso incamminandosi lentamente verso l’auto.

Lo scoglio lasciò spazio alla ghiaia del vialetto sul lato del ristorante che lo riportava verso il marciapiede ancora umido di notte.

Avviò il motore e partì lentamente. “Ci vuole assolutamente un caffè” si disse.

La Lancia percorse a ritroso il Corso Italia ripassando davanti al night dove le saracinesche erano ormai chiuse e solo il gigantesco mulino rosso dell’insegna continuava il suo lento moto.

Svoltò l’angolo e si fermò davanti al bar salendo con le ruote anteriori sul marciapiede.

Un assonnato barista lo accolse con fastidio e accese la macchina dell’espresso.

Il caffè gli scivolò in gola bollente portandolo fuori dal mondo silenzioso dei suoi pensieri mattutini. Si accorse solo allora degli altri due clienti che stavano a fianco lungo il bancone.

Vuotò la tazza ed uscì con passo svelto.

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